Questo è un blog dove gli argomenti trattati fanno capo tutti quanti al tema dell’ambiente ma se mi concedete un attimo vorrei fare una piccola (amara) deviazione partendo da una cosa che ho sentito dire tempo fa su un altro tema mooooolto rovente e cioè la violenza di genere: la nostra società insegna alle donne a difendersi ma non insegna agli uomini a tenere i pantaloni abbottonati. Nella sua semplicità è un assunto disarmante e sconfortante. Ci sarebbero da dire tantissime cose, ma torniamo a parlare di ambiente.
La nostra società insegna alle persone come fare una buona raccolta differenziata, anche noi di Verde Chiaro ODV abbiamo sviluppato l’app Recyclize per aiutare le persone in questo difficile compito senza morire di noia, ma non incentiva le persone a produrre meno rifiuti, la verità infatti è che dovremmo seguire un approccio diverso rispetto al problema dell’immondizia: differenziare è necessario perché produrre rifiuti è inevitabile ma come la raccolta differenziata è una splendida alternativa all’incenerimento -un’alternativa vincente a tutto campo- la scelta di produrre meno rifiuti è una splendida alternativa al consumismo sfrenato che ha caratterizzato le nostre abitudini negli ultimi 50 anni, quando ci hanno illuso che continuare a produrre rifiuti (ed in particolare plastica) non avesse nessun tipo di controindicazione.
Cosa vuol dire? Vuol dire che quando vado al supermercato alle cipolle nella retina di plastica preferisco quelle sfuse che acquisto in sacchetti biodegradabili, o che quando devo comprare il sapone scelgo quello senza 8 diversi involucri. A volte questo può costarci un sacrificio non indifferente perché magari siamo abituati ad un certo tipo di prodotto, per un qualunque motivo, e ‘virare’ verso la sostenibilità non è proprio una cosa da fare a cuor leggero.
Ma allo stesso tempo il cambiamento apre a nuove possibilità: prima di tutto potremmo scoprire che quel pesto che noi compravamo nella vaschetta di plastica è meno buono di quello che compriamo per la prima volta nel vasetto di vetro, ma soprattutto potremmo essere parte del processo di cambiamento di una particolare azienda! Come riporta Rossano Ercolini, attivista nell’ambito dei rifiuti a livello mondiale, il centro Rifiuti Zero di Capannori ha preso contatto con la Lavazza per aprire un tavolo di confronto sulla questione delle capsule: oggigiorno molti italiani preferiscono la macchinetta a cialde alla buona vecchia moka, il che ha fatto impennare la quantità di rifiuti prodotti dal momento che tutta la capsula è per lo più non recuperabile, e nessuno si disturba mai ad aprirla per poi buttare il caffè nell’organico.
Quindi? Che fare?
La domanda aperta offre un’importante occasione di business e qualcuno ha colto la palla al balzo commercializzando capsule usa e getta fatte di cellulosa, e quindi compostabili, che nei primi tempi hanno monopolizzato il mercato per quella fetta di utenti che sono attenti alla propria carbon footprint, ma restando usa e getta non convincono più di tanto. Un’altra ipotesi sarebbe una capsula riutilizzabile fino a 100 volte ma a quel punto se l’utente medio si dovesse disturbare a riempire e svuotare ogni volta la capsula la comodità che la macchinetta dell’espresso offre rispetto alla moka verrebbe ridotta.
Quindi? Che fare?
Come vedete ad un problema iniziale sono state offerte non una ma ben due soluzioni ampiamente perfettibili e se chi leggesse avesse una buona idea per rispondere a questa seconda domanda i guadagni potrebbero essere promettenti.
Ma queste risposte si collocano sempre a fondo valle, cioè a problema già in essere, mentre il discorso qui è -come recitava un vecchio adagio, anzi no, una vecchia pubblicità- ‘prevenire è meglio che curare’.
C’è questo bel video -un po’ arrangiato ma le non profit di solito non hanno il budget di un film degli avengers- in cui la frase di apertura recita ‘Voglio che tu smetta di riciclare’ e con una richiesta così di impatto, contraria a quanto ci viene detto a più riprese, certamente cattura la nostra attenzione: come sarebbe a dire smettere di riciclare? Sono decenni che ci dicono quanto sia importante, vitale, necessario!
Il discorso è: ok, riciclare è importante, ma adesso la priorità è un’altra.
Perché? Perché della plastica prodotta dagli anni 50 ad oggi la stragrande maggioranza è ancora in circolazione, appena il 6% è stato catturato e processato in vari modi, pensate mesi addietro un membro della guardia costiera inglese trovò un flacone vecchio di sessant’anni che galleggiava in mare mentre appena qualche giorno fa sulla spiaggia del comune di Termoli è stata trovata una bottiglia di Aiax venduta all’incredibile prezzo di 180 lire invece che 230. Sapete quanti anni fa c’erano questi prezzi sugli scaffali dei supermercati italiani? 40. Queste due bottiglie hanno vissuto più di quello che è toccato a molte persone perbene e a me -concedetemi un momento di amarezza- sembra assurdo.
Siamo cittadini modello, facciamo finire la plastica nel bidone della plastica, la carta nel bidone della carta, ogni cosa al suo posto e così ci convinciamo di aver fatto tutto il possibile, ma il fatto è che la plastica come ogni altro rifiuto, in mancanza di impianti capaci di trattarla e rimetterla sul mercato, viene impacchettata e venduta. Il prezzo però lo fa il compratore perché il bisogno è del venditore. Vuoi liberarti della plastica? Bene te la compro io, ma alle mie condizioni. Più grande è il bisogno più alto è il prezzo. E sapete chi si compra la spazzatura -specie indifferenziata- di tutto il mondo? La Cina. Ma siccome la Cina ora deve fare i conti con la spazzatura che produce entro i propri confini e con l’inquinamento legato all’incenerimento dei rifiuti, dopo un periodo in cui ha continuato a comprare immondizia a prezzi stellari è arrivata a dire ‘ok basta tenetevela voi la vostra indifferenziata’ e tutta l’industria del riciclo sta andando in crisi.
Quindi? Che fare?
In attesa che a qualcuno di voi venga una bella idea per risolvere il problema o comunque attenuarlo, facendovi guadagnare magari un bel po’ di quattrini, quello che possiamo fare è consumare in maniera consapevole, riducendo, come vuole il primo precetto dell’economia circolare, la quantità di beni acquistata e consumata, puntare su beni con un packaging a basso impatto, premiare chi produce beni durevoli, e se per caso tutto questo dovesse voler dire rinunciare ai nostri biscotti preferiti, allora potremmo mandare una bella mail a chi li produce dicendo ‘Caro marchio, ho sempre pensato che il vostro prodotto x fosse il migliore sul mercato ma lo commercializzate in un involucro troppo complesso e difficile da riciclare, per questo motivo non lo comprerò più fino a che non adotterete una politica sul packaging più sostenibile, convincendo tutti quelli che conosco a fare altrettanto; quando inizierete a commercializzare i vostri prodotti in confezioni sostenibili tornerò ad acquistarli e ne tesserò le lodi con chiunque’.
Il grande cambiamento parte con piccole azioni, l’avete mai sentito dire che la frana inizia con un sassolino che ruzzola a valle? Siate quel sassolino dicendo di no -ad esempio- alla cannuccia usa e getta quando vi viene servito il vostro cocktail preferito. Di modi per ridurre la produzione di rifiuti ce ne sono milioni, se ve ne viene in mente uno originale ed efficace o se conoscete la storia di chi ha avuto una brillante intuizione, fatecelo sapere!