Ultimamente non si fa altro che parlare dell’economia italiana e delle manovre di prossima approvazione, del nostro debito pubblico, del rapporto deficit/pil, dei carteggi roventi tra governo e UE, il tutto puntualmente accompagnato da una nota a margine circa il famigerato rating, cioè il ‘voto’ che viene dato all’economia nazionale dalle agenzie indipendenti (le stesse che fino all’esplosione della bolla assegnavano ai mutui sub-prime la tripla A quindi…) che dovrebbe indicare non solo il livello di fiducia degli investitori ma anche la solidità dei nostri conti.
E se le finanze nostrane vengono sistematicamente rimandate a settembre dai mercati internazionali, pochi giorni fa ci è stato riconosciuto il raggiungimento di un traguardo positivo: il World Energy Council ha riconosciuto la tripla A allo stivale per la sostenibilità energetica guardando ai profili di sicurezza equità e sostenibilità.
Un traguardo non da poco se si considera che dei 125 paesi presi in considerazione l’Italia è uno dei pochi, 8 in totale, ad aver ottenuto questo riconoscimento; ma il sistema di assegnazione del punteggio ed attribuzione del rating non è proprio chiarissimo, infatti nella classifica generale nel 2015 l’Italia era al 23° posto, mentre nel 2017 abbiamo guadagnato diverse posizioni e siamo arrivati al 16° posto, ed avendo ottenuto tutti punteggi mediamente elevati ci siamo aggiudicati la tripla A. Altri paesi, avendo ottenuto punteggi molto elevati in un settore e bassi in un altro, non sono arrivati al nostro stesso risultato.
Non a caso a guidare la classifica in tema di sostenibilità ambientale sono le Filippine, mentre al secondo posto nella chart dedicata all’energy equity figura il Qatar.
Ora, quante volte capita di leggere questi due nomi? Di solito quando si parla di stati virtuosi dal punto di vista energetico i grandi protagonisti sono i paesi scandinavi, che infatti occupano tutte posizioni di primo piano sia nelle nelle singole chart sia nella classifica generale, ma a meritare la tripla, oltre all’Italia, sono stati ‘solo’ Danimarca, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Francia e Spagna. Notare che sono tutti stati europei (non necessariamente UE però…) per voi è una sorpresa?
Come abbiamo ottenuto questo risultato?
In Italia ci si muove principalmente con i mezzi privati e dal momento che si vendono un sacco di macchine il parco mezzi nazionale tende a migliorare le proprie performance energetiche, alleggerendo il proprio impatto sulla qualità dell’aria, stesso discorso vale per la distribuzione delle merci. Pensate a cosa saremmo capaci di fare se ci affidassimo al trasporto pubblico e alla mobilità sostenibile (biciclette e via discorrendo)
I privati hanno investito negli impianti domestici di produzione di energia elettrica e di acqua calda sanitaria nonostante lo stato non abbia introdotto misure strutturali a sostegno di chi vuole fare questo tipo di intervento ed anzi lo abbia scoraggiato con limiti assurdi (abiti a un km di distanza da un’autostrada? VINCOLO PAESAGGISTICO! NIENTE PANNELLI HA!), stesso discorso per le aziende, che non ricevono incentivi se decidono di dotarsi di impianti fotovoltaici e solari termici. Se questi sono i risultati ottenuti in un paese come il nostro, dove i valori di irraggiamento sono tra i migliori al mondo e solo i ricchi si possono permettere di investire in tecnologie sostenibili, pensate se il solare, il micro-eolico e il micro-idroelettrico fossero a portata di tutti, cosa potremmo fare.
Sempre privati ed imprese, a proprie spese, hanno investito in altre forme di efficienza energetica come ad esempio l’isolamento termico dei fabbricati, per ottenere un risparmio in bolletta che si apprezza nel lungo periodo. Tutto senza misure strutturali a sostegno di questi interventi.
Ed ora veniamo al mio preferito: il mix energetico. L’Italia ha investito massicciamente nell’idroelettrico durante la ricostruzione post bellica, quindi partivamo avvantaggiati rispetto ad altri paesi come la Germania che invece, avendo carbone da buttare (ed è ancora così) hanno puntato tutto sul termoelettrico. Quando si è posta la necessità di investire in fonti rinnovabili, posto che eolico e solare erano ancora tecnologie giovani quindi costose e poco efficienti, gli altri paesi hanno investito sull’idroelettrico mentre il nostro era già arrivato a sfruttare pressoché ogni fiume ed ogni bacino, con la conseguenza che la nostra curva di investimento nelle rinnovabili è rimasta stagnante per tanto tempo. Quando però solare ed eolico hanno raggiunto livelli interessanti nel rapporto costo/rendimenti, altri paesi hanno fatto all-in su queste nuove tecnologie mentre l’Italia è rimasta a terra su un fianco a piangersi addosso. Risultato, paesi come la Danimarca hanno wind farm grandi il doppio dello stesso territorio nazionale mentre in paesi come la Germania, dove l’irraggiamento è nettamente inferiore a quello italiano, e chi dice di aver visto il sole viene bruciato al rogo per eresia, la potenza domestica installata è qualcosa tipo il doppio del nostro paese (39 GW contro i nostri 18) nonostante in Sicilia ci sia abbastanza irraggiamento da poter prendere tutte le centrali termoelettriche e chiuderle in un grosso armadio, gettare l’armadio in una buia ed umida cantina per poi distruggere il palazzo dove si trova detta cantina, e non sentirne la mancanza.
Marco Magheri, presidente WEC-Italia, commenta con soddisfazione il traguardo ottenuto, sottolineando che ciò è dovuto anche al fatto che il nostro paese ha uno dei sistemi di generazione termoelettrica più efficienti al mondo, peccato che il termoelettrico rappresenti il passato e gli investimenti dovrebbero guardare altrove, a qualcosa di più ambizioso, vantarsi di avere delle centrali a carbone ‘efficienti’ -mentre anche la Cina le chiude per puntare tutto sulle rinnovabili- è come andare ad un congresso di medicina e pontificare sui benefici dei salassi. Capite la sottile sfumatura anacronistica?
Di chi è la colpa di tutto questo? Un rapporto dell’AsVis presentato pochi giorni fa alla Camera dei Deputati punta il dito contro i ritardi della politica (ddddddaaaaaiiii?!) che non riesce a rispondere tempestivamente alle istanze maturate in seno a società civile e industria, nonostante tutte le promesse fatte nel tempo, non ultima una direttiva del governo Gentiloni in cui si poneva lo sviluppo sostenibile come obiettivo primario.
Nel rapporto emerge come la riduzione delle emissioni, oltre che ad un miglioramento delle performance globali come l’aumento della percentuale di raccolta differenziata in Italia, sia da imputare alla crisi economica (meno fabbriche, meno emissioni, fila no?!) ma evidenza anche come -mentre la sensibilità dei cittadini al bio, al sostenibile, all’economia circolare aumenta- molte delle dichiarazioni programmatiche fatte in passato stanno facendo la muffa in cantina e riforme per allineare la grande macchina nostrana alle aspettative dei cittadini non se ne sono viste.
Devo dire che qualcosa si muove, come ad esempio vi avevo detto riguardo al SISTRI (qui), ma non voglio dire gatto visto che non ce l’ho nel sacco. Anzi, non ho nemmeno un sacco, e se lo avessi non lo userei per catturare gatti, ma per chi mi avete preso?!