E’ di qualche giorno fa la notizia, diffusa con toni allarmistici, di uno studio effettuato dall’Università di Plymouth, Australia, che ha verificato il comportamento di 4 sacchetti fatti con altrettanti diversi materiali quando questi vengono abbandonati in ambiente, in un periodo di 3 anni e in contesti diversi come il mare, il suolo, aria aperta e via discorrendo.
Il sacchetto in polietilene ad alta densità (il comune sacchetto della spesa che la faceva da padrone prima dell’avvento del Mater-Bi e degli altri biomateriali) e quello in plastica oxo-degradabile (cioè fatto a partire dagli idrocarburi ma con l’aggiunta di additivi che ne facilitano la frammentazione) dopo diversi mesi erano ancora intatti in tutti gli ambienti di test mentre la plastica biodegradabile e quella compostabile dopo breve tempo si erano completamente disgregati.
Ma non abbastanza rapidamente da giustificare i toni entusiastici con cui le bioplastiche sono state accolte dai consumatori, ad onor del vero la busta compostabile sepolta sotto terra dopo ben 27 mesi era ancora intatta benché non fosse più in grado di contenere oggetti senza andare in pezzi.
Prima di proseguire voglio ribadire alcuni punti importanti 1- preferire la plastica oxo-degradabile a quella compostabile velocizza il processo di degradazione ma non risolve né attenua il problema dell’inquinamento. 2- il fatto che un sacchetto di plastica si disgreghi non significa che ‘sparisca’, questo si riduce soltanto alla sua minima unità costitutiva, cioè il polimero utilizzato per fabbricarlo, e resta in ambiente e quindi nel nostro ciclo vitale: respiriamo pezzi di sacchetto, mangiamo pezzi di sacchetto, beviamo pezzi di sacchetto .
Lo studio, nelle conclusioni dei suoi autori, avrebbe dimostrato che anche i sacchetti biodegradabili presentano limiti importanti, nel senso che non spariscono magicamente per il solo fatto di entrare in contatto con gli agenti atmosferici e il loro effetto disgregante. Assobioplastiche risponde -parafrasando- che in realtà quello che hanno scoperto a Plymouth è nientemeno che l’acqua calda. Viene infatti contestato allo studio di aver utilizzato sacchetti inadeguati, un vizio alla base dello studio che non solo né invaliderebbe i risultati ma non aggiungerebbe niente di nuovo a quello che si sapeva già, e cioè che gli unici prodotti a potersi definire biodegradabili e compostabili sono per l’appunto quelli realizzati con la relativa categoria di bioplastiche, circostanza chiarita anche dall’AGCOM nel 2015 quando molti marchi della GDO insistevano nell’utilizzare oxo-plastiche spacciandole per biodegradabili e compostabili.
Non voglio con questo prendere le difese delle aziende che producono bioplastiche perché nella mia visione delle cose l’usa e getta, anche se di materiali a basso impatto, è sempre e comunque sbagliato. Però nel transito verso soluzioni circolari e ad impatto zero direi che la bioplastica compostabile sia un compromesso accettabile.
Perché tutto è in costante movimento spiega Paola Fabbri, docente all’Università di Bologna tra i protagonisti del Talks on Tomorrow: nella storia si sono avvicendate foglie di piante, ceste, vasi di terracotta, la produzione industriale del vetro risale al 1500 aC, fino a raggiungere gli anni 70 dove il miracolo dell’usa e getta ha innescato un processo per cui annualmente ciascun cittadino dell’Unione arriva a produrre una media di 170 kg di imballaggi tra plastica alluminio vetro e via discorrendo. Come sottolinea la titolare della cattedra in Scienze e tecnologia dei materiali, i vantaggi che la plastica offre in sede di utilizzo si trasformano in uno svantaggio in sede di recupero. I polimeri sono molto versatili, pensate alla carta della merendina che isola l’alimento dall’esterno e lo protegge ma è trasparente quindi consente di vedere il prodotto, sono flessibili, inoltre costano poco, metodi di lavorazione e impiego si sono diffusi in modo omogeneo in tutto il mondo. Le alternative esistono ma c’è un problema di diffusione su grande scala, di uniformazione, perché se la merendina prodotta in Italia con un materiale alternativo e ammesso dal nostro paese viene importata in un paese dove l’uso di quello stesso materiale non è invece consentito la merendina viene rispedita al mittente. Alternative sostenibili sono già in uso, altre sono in fase di testing, altre solo ipotizzate, ma il progresso tecnologico non aspetta nessuno, si tratta di agevolare soluzioni che presentino un buon compromesso tra basso impatto ambientale, sostenibilità ed efficienza. L’ambiente e l’economia circolare ringraziano!