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Plastica in mare, due idee per far fronte all’emergenza

  • 18 Agosto 2018
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  • Niccolò

Come abbiamo avuto modo di dire in più occasioni, e come certamente sapete già, i nostri mari sono pieni di plastica, così pieni che ci sono enormi accumuli di plastica di ogni tipo, gli animali ci rimangono incastrati andando incontro ad una fine ingloriosa e in ultimo l’uomo finisce per cibarsene mangiando il pesce, che oggi contiene importanti quantità di microplastiche.

L’Europa sta prendendo provvedimenti come istituzione, il nostro paese si è già attivato da tempo introducendo un obbligo di sostituire gradualmente i sacchetti tradizionali con i sacchetti biodegradabili, ed oggi avviando il processo per eliminare la plastica usa e getta più comunemente impiegata per piatti e bicchieri, cannucce e via discorrendo. Ma la partecipazione a questa rivoluzione verde, che non è indolore, richiede una collaborazione strettissima tra istituzioni, società civile ed aziende; pensate proprio ai sacchetti, i consumatori più sensibili si dimostrano interessati ad un’alternativa al sacchetto di plastica tradizionale, un’azienda inventa il Mater-Bi, le istituzioni lo rendono obbligatorio. Bam, sacchetti di plastica in mare meno ‘un sacco%’

Pensate che anche negli Stati Uniti, dove per un verso o per un altro sembra che qualcuno si stia interessando a certi aspetti della tutela ambientale, stiamo passando dai sacchetti in plastica a quelli biodegradabili. Il che potrebbe fare la differenza visto quanto poco riciclano da quelle parti!

Sull’onda dell’entusiasmo vi voglio riportare altri due esempi di ‘greenbusiness’ cioè di opportunità di impresa nel settore della sostenibilità ambientale, un settore molto promettente e capace di offrire tantissime opportunità oltre che interessanti profitti.

Solubag, trovata genialissima di un team cileno il quale ha sviluppato un sacchetto biodegradabile a base -rullo di tamburi- di CALCARE! Rispetto al sacchetto tradizionale che a seconda dello spessore impiega tra i 150 e i 500 anni a disgregarsi (continuando in perpetuo ad inquinare) Solubag entrando a contatto con l’acqua in 5 minuti si è già dissolto! La descrizione sul sito ufficiale ovviamente è entusiastica, niente contaminanti nemici dell’ambiente, niente additivi tossici per l’uomo, e noi vogliamo crederci.

Meno entusiasmante ma comunque degno di una menzione in queste illustrissime pagine è il progetto ancora aperto nei laboratori dell’Università dell’Illinois, negli Stati Uniti, dove un team di ricercatori pensa di sfruttare la debolezza intrinseca di alcuni polimeri per sviluppare delle plastiche che al momento giusto si indeboliscano e quindi disgreghino: alcune macromolecole non trovano impiego in quanto incapaci di formare legami stabili, ma in questo caso è proprio ciò che serve, una struttura più debole si spezza più facilmente e sacchetti realizzati con una plastica ‘a tempo determinato’ potrebbero danneggiare l’ambiente per un tempo più breve.

A me già così salta agli occhi una circostanza e cioè che i sacchetti fatti con la plastica ‘debole’ oggetto di ricerca negli states, si disgregano per fotodegradazione (quindi grazie all’azione della luce) ma la minima unità costitutiva del sacchetto, il polimero, resta dispersa in acqua non risolvendo assolutamente il problema, si limiterebbero a ridurne la percezione perché sacchetti in acqua ne vedremmo meno mentre le microplastiche schizzerebbero alla stelle. Al contrario i sacchetti biodegradabili, disgregati per effetto dell’azione di batteri o altri micro organismi, sembrano avere un impatto sensibilmente inferiore.

E voi quale scegliereste?

CATEGORIES :   Mare, Plastica
Tags :  #breakfreefromplastic, biodegradazione, endplasticpollution, fotodegradazione, microplastiche, plastica, usa e getta
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