Ultimamente mi capita spesso di leggere su tutto lo spettro dell’informazione che personalità dello spettacolo, del mondo dell’associazionismo, delle scienze e dell’accademia (ma mai governi dei paesi industrializzati per qualche strano motivo) hanno prodotto lettere, documenti, appelli corali per la salvaguardia del pianeta scegliendo la via del terrore: se non cambieremo moriremo; se non faremo qualcosa è finita; dobbiamo agire subito o saremo condannati!
Hanno ragione, chi dice il contrario o è stupido o è un irresponsabile.
Il punto però non è se abbiano ragione o meno ma il messaggio che lanciano, in quanto si limitano a dirci che se non cambieremo ci capiterà qualcosa di brutto, quando è altrettanto importante sottolineare che cambiare oltre che necessario è bello, che mentre gettare l’immondizia fuori dall’abitacolo della nostra auto non ci dà niente, fare la raccolta differenziata ci riempie di orgoglio e soddisfazione; in ultima analisi il messaggio che viene veicolato non è sbagliato ma il più delle volte incompleto.
Manca infatti l’ingrediente fondamentale, quello capace di coinvolgere le persone e trasformarle in agenti del cambiamento: la speranza.
Ad esempio: il problema della plastica che avvelena i nostri mari è noto a tutti, le immagini delle spiagge tempestate di bottiglie vuote e altri rifiuti vengono riproposte ciclicamente da social media, carta stampata, televisione e via discorrendo, ma quante volte sentite parlare di progetti come 4Ocean o della fondazione di OceanCleanup? Questi sono solo due dei tanti progetti che puntano a raggiungere il grande risultato. Quale sarebbe questo risultato? Un oceano completamente pulito? Sarebbe bello, ma anche ammettendo che dispongano di una bacchetta magica capace di far sparire tutta la plastica dispersa in mare, otterremmo una soluzione temporanea. Quello di cui davvero abbiamo bisogno è infatti il cambiamento.
Deve cambiare l’approccio delle persone al problema dei rifiuti, nel sud del Vietnam le persone gettano i rifiuti nel Mekong, non c’è da stupirsi se nelle trappole per i pesci trovano più immondizia che altro, ma la capacità di comprendere la vera portata del problema, per quanto di impatto immediato ed evidente, richiede una sensibilità sviluppata che dall’alto della nostra condizione di occidentali privilegiati possiamo dire di avere.
A questo punto, come convincere i vietnamiti a fare la differenziata? Secondo voi andare da gente che per sopravvivere lava verdura piatti e vestiti nella stessa acqua, dicendo ‘se non fai la riciclata inquini’, anche mettendola sul tragico andante, potrebbe avere qualche straccio di effetto? Io dico che ad un vietnamita, di quelli che viaggiano in 4 su un motorino e che spendono tutti i soldi che hanno per pagare la materna ai figli, del problema della plastica in mare non frega niente, perché il problema viene presentato come insuperabile, senza alternative o via di fuga.
Al contrario andare dalla stessa persona e dire ‘hey ma non sei stanco di gettare le reti per tirare su vecchi stivali e arrabattarti per mettere insieme pranzo e cena? Perché sai, se invece di gettarle in mare le bottiglie le butti in un bidone, e poi qualcuno porta quel bidone in un centro di raccolta, e da lì qualcun’altro porta le bottiglie in un posto dove vengono trasformate in qualcosa che qualcun’altro ancora rivenderà, hai tolto la plastica dalle tue spiagge e dato lavoro ad un sacco di persone, un lavoro dignitoso, di quelli che pagano in modo decente e assicurano delle prospettive migliori a te e alla tua famiglia…’ ecco secondo me se al povero cristo che si spacca la schiena 25 ore al giorno per due monetine di cioccolata diciamo questo, gli diamo speranza, la speranza di riscattarsi da una vita di stenti e privazioni, di assicurare un futuro più roseo ai figli, e noi otteniamo di aver aiutato un paese a non inquinare.
Certo non è cosa semplice, nel nostro paese fatichiamo a far capire ai fumatori che se centrassero il cestino con i loro mozziconi non capiterebbe loro niente di male, quindi rivoluzionare un altro paese potrebbe rivelarsi difficile, ma con la grande leva della speranza tutto è possibile. Nessuno si immaginava che la Cina facesse marcia indietro sulle politiche ambientali, incluse quelle energetiche, dal momento che spesso queste compromettono la produzione industriale, che è il grande motore trainante dell’economia cinese, ma Zhou Jinfeng, presidente di una potentissima fondazione che lotta per trasformare uno dei paesi più inquinanti del mondo (forse il più inquinante), sostiene che ci sia speranza per la Cina, che si è già dimostrata capace di ridurre le proprie emissioni di CO2 per unità di PIL del 46%, il che vuol dire -per sommi capi- che a parità di ricchezza prodotta il paese ha inquinato quasi la metà. A livello di produzione energetica il carbone sta lasciando il posto a fonti rinnovabili, stanno dettando regole ferree per la tutela della biodiversità, proteggendo foreste e animali come il pangolino, del quale si commerciano le squame, insomma la strada imboccata dalla tigre asiatica, sembra portare verso un futuro forse non proprio verde, ma nemmeno grigio come…
Insomma, l’intenzione è quella di rispettare ed anzi andare oltre i limiti fissati dagli accordi di Parigi, che invece Trump vorrebbe lasciarsi alle spalle, quindi se la Cina fa marcia indietro è il caso di dirlo, c’è speranza per tutti. Volete qualche esempio concreto? Restate sintonizzati!