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Cambiamento climatico, la fine di un’era. La nostra.

  • 7 Agosto 2019
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  • Niccolò

Se ne parla ormai ogni giorno e non solo sulle pagine di questo blog, se ne parla a scuola, se ne parla a lavoro, se ne parla tra amici, se ne parla in tv, se ne sente parlare davvero in tantissimi luoghi e contesti diversi trattandosi di un argomento trasversale, il cambiamento climatico è un processo che riguarda tutti anche se ovviamente tra chi vive in una baracca di lamiere ai margini delle favelas, costretto a fare decine di km per raggiungere l’acqua potabile, e chi sorseggia pina colada a bordo piscina in una villa ai Caraibi, c’è una bella differenza.

Le notizie della settimana sono essenzialmente tre: l’overshoot day, cioè il giorno in cui -secondo calcoli molto complessi fatti da chi ci capisce un sacco di ambiente e matematica- arriviamo a consumare le risorse naturali che sono ‘messe a budget’ per un anno; l’incendio che sta devastando l’artico e che non sembra avere la minima intenzione di lasciarsi domare o estinguersi spontaneamente; ed infine i ghiacciai della Groenlandia che si stanno sciogliendo alla velocità della luce, un’intera isola si sta letteralmente riversando in mare.

Quanto all’overshoot day è facile dire che questi calcoli sono fatti sulla base di aria fritta perché nessuno sa esattamente quale sia il fabbisogno di tutto il mondo, né quando effettivamente le risorse teoricamente disponibili per l’anno in corso vengano consumate, magari abbiamo dato fondo alle riserve il 14 di febbraio mentre eravamo impegnati a litigare con le nostre dolci metà, o magari avverrà non prima del 25 dicembre. Ovviamente il punto non è quello di stabilire quanto abbiamo a disposizione e quando arriviamo a raschiare il fondo del barile, si tratta piuttosto di accettare un’amara verità: più consumiamo oggi meno ce ne sarà domani. E molti chioseranno con un bel ‘chissene’, ma ecco la doccia fredda: non necessariamente l’inquinamento dei mari sarà un problema delle generazioni future, perché in base ad uno studio pubblicato dall’Università di Newcastle, Australia, già oggi la quantità di microplastiche presenti nel ciclo vitale della Terra fa sì che ognuno di noi mangi l’equivalente di una carta di credito ALLA SETTIMANA! Cosa ci vuole sopra la sua carta signore ketchup o maionese?

Quanto agli incendi dell’artico mi sembra sufficiente sottolineare come gli incendi incontrollati che imperversano da giorni nell’artico hanno bruciato alberi e depositi di torba liberando in atmosfera decine se non centinaia di megatonnellate di CO2, c’è chi dice che la quantità di anidride carbonica liberata è pari all’inquinamento prodotto dal Belgio in un anno. Ovviamente torno a chiedermi chi cavolo si metta a fare questi calcoli e sulla base di quali dati, di quali rilevamenti, di quali misurazioni, ma il punto non è quanto siano corretti i numeri snocciolati su questo o quel sito, da una televisione o da un’altra, il punto è che il cambiamento climatico è una realtà con cui dobbiamo fare i conti perché se noi stiamo iniziando a pagarne il prezzo mangiando l’equivalente di una carta di credito alla settimana per via dell’inquinamento da microplastiche, le generazioni future per accedere all’acqua potabile dovranno far fronte a scenari degni di Mad Max Fury Road.
Ah le generazioni future non necessariamente sono quelle di 100 anni da oggi, sto parlando dei nostri figli, già loro potrebbero trovarsi di fronte un conto salato, per qualcosa che non hanno nemmeno assaggiato.
Ma la domanda è: cosa posso fare io contro gli incendi nell’artico? Nulla. A meno che non possediate un Canadair e abbiate voglia di fare un giro a nord c’è ben poco che possiate fare. E per l’overshoot day? Molto. In generale c’è molto che possiamo fare, c’è un elenco infinito di cose che potete fare per combattere il cambiamento climatico, elenco che dietro licenza chiameremo ‘cambiamento delle abitudini’.

Negli anni 60 aziende grandi e piccole hanno presentato al mondo un autentico prodigio: la plastica. Costa poco, tiene al sicuro il vostro cibo, è leggera e ha tante altre virtù, incluso il fatto di potercene liberare senza troppi pensieri. Ed abbiamo iniziato ad utilizzare la plastica per qualunque cosa, abbiamo accolto la plastica in ogni aspetto della vita, e chi registrava i maggiori guadagni si è guardato bene dal sottolineare il problema fondamentale: cosa succede dopo che hai buttato la plastica nel cestino dell’immondizia? Perché ovviamente la raccolta differenziata è una novità piuttosto recente… Da quei famigerati anni 60 ad oggi sono stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di plastica di vario tipo e per gli utilizzi più disparati, di questi la stragrande maggioranza è finita in discarica o nei mari ed è entrata nel ciclo vitale del pianeta e se pensate che questa notizia sia allarmante è solo perché non avete sentito il resto: in base all’andamento della crescita demografica, in base ai consumi registrati in paesi dove la sensibilità al problema ‘climate change’ è prossima allo zero, i miliardi di tonnellate di plastica non biodegradabile prodotti entro il 2050 saranno 34.

Grazie anche al contributo delle grandi compagnie del settore petrolchimico che hanno investito quasi 200 miliardi di dollari per l’apertura di nuovi stabilimenti grazie ai quali la produzione di plastica andrà incontro ad un aumento del 40%.
Di tutta la plastica prodotta appena il 9% viene effettivamente riciclato, il 12% bruciato negli inceneritori, e il restante 79% viene disperso nell’ambiente o conferito in discarica che mirabile dictu è la stessa cosa alla fine della fiera. Tutto questo cosa ci dà? Qual è il beneficio che ne traiamo? La disponibilità di un bene la cui vita oscilla tra i 20 minuti e 1 anno, poi ce ne liberiamo. A questo punto possiamo chiederci: quanto ci mette un oggetto di plastica a decomporsi? A decomporsi ci mette minimo mesi, nella peggiore delle ipotesi secoli, per farvi capire, se il Re sole (1638-1715) avesse usato pannolini come li vendono oggi nei supermercati e li avesse gettati in mare potreste ritrovarne dei brandelli sulla vostra tavola da surf.
Ma ho un’altra bella notizia: il fatto che la plastica si decomponga non risolve i problema: le plastiche infatti sono dei polimeri, cioè catene di molecole, e quando la catena si spezza i monomeri si disperdono, non è che spariscono, al limite subiscono una trasformazione. Quindi quando leggete che la plastica si fotodegrada in mare, o in discarica, o che viene bruciata, il problema si sta solo spostando! Le molecole vengono ‘mangiate’ dai pesci finendo nei vostri prelibati piatti di sushi, le molecole vengono sparate in aria dai camini degli inceneritori e noi ce le respiriamo durante le nostre salutari sessioni di jogging, le molecole filtrano nel terreno e da lì passano alla falda acquifera, dalla quale noi estraiamo acqua da bere.
Noi siamo la plastica che produciamo.
Ma il vero genio sta nell’averci convinti che un’alternativa non sia possibile, che noi abbiamo bisogno della plastica per sopravvivere e continuare a svilupparci come razza dominante del pianeta. Ammettendo per un secondo che sia la verità spiegatemi una cosa: come ha fatto l’umana stirpe ad evolversi per più di 2000 anni senza la plastica? Lo ha fatto creando una falla nella teoria dell’evoluzione, superando i suoi limiti rispetto all’ambiente circostante sfruttando la sua arma più potente, l’intelligenza. Perciò oggi alla selezione naturale rispondiamo con un tale arsenale di opere di ingegno da far impallidire i più fantasiosi autori di fiction: ai batteri rispondiamo con gli antibiotici, alle grandi distanze con aerei e treni che viaggiano a velocità incredibili, alle condizioni climatiche estreme con vestiti che isolano perfettamente senza pesare 40kg. Lo so che in tutto questo di mezzo c’è la plastica, e quello che con questa lunga premessa voglio dirvi non è che da oggi al domani dobbiamo rinunciare alle comodità che la plastica ci ha assicurato, piuttosto che dobbiamo abbandonare l’idea di non poterne fare a meno per qualsiasi cosa. Cosa credete che le scampagnate non le facessero prima che venisse inventata la plastica?!

Per oggi mi fermo qui, vi lascio con qualche interrogativo aperto e il tempo per trovare le vostre risposte, ma vi anticipo i contenuti del prossimo articolo (di prossima pubblicazione): se i problemi riguardano l’uso disinvolto delle materie prime, e delle plastiche, di chi è la colpa? Di chi ci vende la verdura dentro 4 diversi involucri di plastica o nostra che la compriamo? Esatto, la colpa è nostra. Ma non tutto è perduto. Quasi perduto almeno.

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Tags :  cambiamento climatico, climate change, fotodegradazione, incendi artico, microplastiche, overshoot day, plastica, raccolta differenziata
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